Editoriale n. 3 – luglio/settembre 2017
Le nuove proprietà
Prof. Marta Cenini
Come ormai i giuristi più consapevoli hanno sottolineato da molto tempo, la parola proprietà ha mutato profondamente il suo significato rispetto a quello tramandato dalla tradizione, giuridica e filosofica, ottocentesca; la descrizione di questo fenomeno e delle sue conseguenze rappresenta uno dei più importanti raggiungimenti della scienza civilistica italiana ed ha importanti riflessi sull’interpretazione di alcune delle normative chiave recentemente approvate dal legislatore.
La Déclaration des droits de l’Homme et du Citoyen del 1789, in parallelo con il V emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America del 1791, poi seguito dal XIV emendamento, ha consegnato alle generazioni successive l’idea che la proprietà fosse un diritto naturale dell’uomo, preesistente rispetto agli ordinamenti stessi e in quanto tale da riconoscere e garantire. Questa impostazione collegava strettamente il concetto di proprietà a quello di libertà, cittadinanza ed uguaglianza.
Questa visione ha avuto un successo straordinario e una eco nelle dichiarazioni dei diritti dell’uomo europee: il primo protocollo addizionale della CEDU annovera il diritto di proprietà tra i diritti inviolabili, sebbene comunque si preveda la possibilità per i legislatori nazionali di conformare il diritto di proprietà per il perseguimento di interessi di carattere generale; la Carta di Nizza, ora inserita nel diritto dell’Unione allo stesso grado gerarchico dei Trattati Europei, considera il diritto di proprietà come diritto fondamentale.
A questa corrente di pensiero se ne aggiunge un’altra che invece sottolinea come già nell’ottocento, e a maggior ragione nel novecento, la proprietà fosse fonte di obblighi e responsabilità: “La proprietà obbliga. Il suo uso, oltre che al privato, deve essere rivolto al bene comune” dispone il celeberrimo dispositivo contenuto nella Costituzione di Weimar del 1919, poi trasposto nel BGB tedesco. La formula costituirà uno dei fondamenti teorici al dibattito italiano sulla “funzione sociale” della proprietà e sarà poi accolta in tale veste nella Costituzione del 1948.
Che la proprietà oggi sia fonte di obblighi e responsabilità è un dato di fatto incontrovertibile. Uno degli esempi più eclatanti di ciò è rappresentato dalla normativa ambientale.
Il T.U. n. 152 del 2006 contiene una analitica disciplina, per lo più proveniente dalla legislazione europea (in particolare, dalla direttiva 2004/35/CE e dalla direttiva 2008/98/CE) in tema di risarcimento del danno ambientale, bonifiche, circolazione ed abbandono dei rifiuti. Essa pertanto ha un impatto notevole sull’estensione e sui limiti della proprietà immobiliare (in particolare, delle terre contaminate) e mobiliare (se si considera il “rifiuto” come bene mobile). Le responsabilità e gli obblighi del proprietario di una terra inquinata o di un rifiuto previste dal T.U. sono estese ed la giurisprudenza tende ad ampliare, a volte in maniera non condivisibile, tali responsabilità.
Il rifiuto, inteso come “bene”, è tuttavia oggi oggetto di un’interessante evoluzione di mentalità.
Tradizionalmente il rifiuto è considerato come il classico esempio di bene negativo, in quanto si sottolinea che non è utile a chi ne è il proprietario, il quale infatti ha deciso di disfarsene, né è identificabile alcun altro soggetto che possa essere interessato al bene in sé e sia disposto ad acquistarlo pagando un corrispettivo positivo; al momento della cessione del rifiuto, spesso si è infatti di fronte ad una cd. “vendita inversa”, dove il corrispettivo è pagato dall’alienante (sotto forma di una tassa o di una corrispettivo per la presa in consegna da parte di soggetto autorizzato al trattamento).
In data 14 marzo 2017 il Parlamento europeo ha approvato il Secondo pacchetto sull’economia circolare, un progetto di legge che porterà, se approvato dal Consiglio UE, all’emanazione di una nuova direttiva in materia di rifiuti che modificherà le precedenti; scopo primario è di spostare le scelte normative e di policy da un’idea di “green economy” (dove le scelte sono improntate ai principi di sostenibilità ambientale, ma si considera ancora come possibile un infinito progresso economico) all’idea di “circular economy”: da una parte, il rifiuto diviene dunque una risorsa in quanto attraverso le operazioni di riciclo esso dà vita ad un nuovo prodotto e dall’altra parte, si circoscrive in maniera drastica l’utilizzo e la presenza di discariche.
La proprietà, intesa come istituzione che mira anche al perseguimento dell’interesse generale, continuerà ad essere sufficientemente flessibile per adattarsi anche a questo cambiamento; perché, parafrasando Salvatore Pugliatti, non esiste una proprietà ma diverse proprietà.