01/04/2016

Editoriale n. 2 – aprile / giugno 2016

Che banca è la tua banca ?

Prof. Maria Costanza

Banca amica, disponibile e generosa, questa è l’immagine che gli Istituti bancari proiettano di sé attraverso i messaggi pubblicitari che invitano, rassicuranti, a fidarci del credito per soddisfare i nostri desideri.

L’erogazione del credito e non solo ai consumatori è però solo una della prestazioni alle quali le banche sono preposte. L’altra loro attività è la raccolta del risparmio che per più di un verso si contrappone e non si oppone alla filosofia del debito e della spesa. Il punto d’equilibrio fra le due forze che muovono l’azione delle banche risiederebbe nel rapporto corretto fra raccolta ed erogato, sul presupposto di una specialità della impresa bancaria che partecipa e converge con l’interesse pubblico alla stabilità economica. Questa era la impostazione codicistica e della legge (D.L. 12 marzo 1936 n. 375 – L. 7 marzo 1938, n. 141) sulla banca centrale e sul suo ruolo di autorità di riferimento e di controllo.

Da un quarto di secolo ormai, con la ridefinizione della fisionomia soggettiva dell’imprenditore bancario, si è impressa più forte la propensione alla rappresentazione dell’utile risultato dell’esercizio dell’attività creditizia che, con il pressoché parallelo avanzamento dell’idea di una banca globale ed il decadimento della economia reale, ha innescato un corto circuito i cui effetti non è facile risolvere dal legislatore e dalla giurisprudenza spesso non convergenti.

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Nell’orizzonte nazionale il primo segnale delle frizioni fra posizioni della legge ed opinioni della giurisprudenza proviene dagl’interventi normativi (D. Lgs. 4 agosto ’99 n. 342 e art. 120 TUB; L. 28 febbraio 2001, n. 24) con i quali si è cercato di ovviare allo squarcio creato dalle decisioni della Suprema Corte con le quali si è capovolta l’interpretazione dell’art. 1283 c.c. e la applicazione del reato di usura.

Là dove il legislatore aveva posto un freno alla pratica delle garanzie senza massimale (L. 17 febbraio 1992, n. 154, art. 10 co. 1), con il richiamo al principio di irretroattività e di certezza del diritto, invece, si (Corte Cost., 27 giugno 1997, n. 204) è contenuto l’impatto della riforma.

Di nuovo il legislatore ha inteso porre un freno alla revocabilità delle rimesse in conto corrente (D.L. 14 marzo 2005 n. 35).

Giurisprudenza e legislatore si sono poi rincorsi sul tema delle CMS (Articolo 2-bis del decreto legge 29 novembre 2008 numero 185, convertito con modificazioni nella legge 28 gennaio 2009, numero 2, successivamente integrato con il decreto-legge 1 luglio 2009, numero 78, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009, numero 102; Cass., S.U. 2 dicembre 2010, n. 24418). Alla corsa ha preso parte anche la Banca d’Italia (Circolare 2 dicembre 2005), una figura sempre eminente, munita d’un potere regolamentare che dovrebbe guidare ed illuminare il sistema creditizio con una lungimiranza che in molte occasioni non si è scorta, come hanno mostrato non poche pagine della cronaca economico-giudiziaria.

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Non occorre allungare troppo lo sguardo per rilevare le aporie di un discorso che si articola nelle tensione fra disponibilità al credito e solidità del sistema bancario. La trasparenza sulla quale si è puntato come mezzo capace di risolvere le contraddizioni si rivela molto spesso un idolo sul cui altare si sacrificano i veri interessi i giuoco nei rapporti economici. E’ sufficiente leggere gli art.117, 117 bis, 118 e 120 TUB per verificare che la informazione dovuta al cliente è solo un modo per far indossare un abito rispettabile ai privilegi riservati alla banca in un mercato concorrenziale che presupporrebbe un mercato effettivamente aperto e con un significativo numero di competitori che invece si sta riducendo.

Nella stagione della competitività fra le offerte almeno alle fasce dei mutuatari beneficiari di finanziamenti per l’acquisto della prima casa si dette l’agio di cercare le condizioni di prestito più convenienti, come se il “listino” non potesse celare dietro indici ufficiali tranelli, come s’è scoperto qualche tempo dopo (http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-131090_en.htm).

Il postulato della trasparenza inoltre non ha certo impedito che la concessione del credito si svolgesse senza pratiche oblique, se il prestito è stato subordinato all’adesione ad investimenti affatto limpidi ed incuranti del conflitto di interessi. Il fenomeno si è registrato dietro la prospettazione di una tutela del cliente finanziato per metterlo al riparo dagli effetti negativi dell’andamento dei tassi. Di fatto si sono trasformati in pure scommesse le operazioni di finanziamento più tranquille e preventivabili nel loro costo (Cass.,10 novembre 2015, n. 22950; Cass., sez. I, 15 febbraio 2016, n. 2900).

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L’esigenza di rafforzamento del credito dal punto di vista della banca e del sistema creditizio sarebbe invero da considerare come salutare: nella pratica la garanzia richiesta al debitore si è tradotta in un circolo vizioso nel quale sono rimaste impigliate entrambe le parti della partita. Il cliente ha fornito garanzie deboli e la banca ha mancato l’obiettivo di cautelarsi per l’ipotesi di insolvenza del debitore.

Le garanzie anche quelle più certe e solide come l’ipoteca si sono peraltro rivelate in un quadro poco avveduto nella stima degli immobili causative di indebolimento del sistema creditizio, al quale poco respiro danno le regole che garantiscono il credito fondiario (art. 39 TUB) e le più recenti proposte di accelerazione delle procedure esecutive (Atto del governo n. 256: “Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali nonché modifiche e integrazioni del titolo VI-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sulla disciplina degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi e del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141”). Quando il merito creditizio non si accompagna ad una effettiva valutazione della affidabilità del cliente la prospettiva di una più breve definizione degli incagli suscita inevitabilmente reazioni di disappunto giustamente connotate da ragioni di protezione dei soggetti deboli, ai quali si è  dato ascolto con la legge sull’allungamento dei mutui (L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, co. 246).

Le motivazioni sociali e non solo di salvaguardare l’acquisto della prima casa riguardano una platea numerosa di persone in difficoltà, alle quali si dà da una parte una chance di recupero e dall’altra parte si mostra lo spettro della perdita di un bene essenziale. E’ questo un indice della difficoltà di coniugare regole di solidarietà e di efficienza, un problema non esclusivo dei rapporti bancari, ma che qui trova un palcoscenico per una chiara rappresentazione.

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L’Europa ci ha imposto (direttiva 2014/59/UE) il percorso dal bail in per la soluzione dell’insolvenza degli Istituti di credito. Questi, come ogni imprenditore decotto, fanno scontare anche ai terzi le loro incapienze. Nel caso delle banche i terzi esposti sono tutti i creditori e dunque con gli azionisti e gli obbligazionisti anche i correntisti, o almeno alcuni di questi. Il deposito in c/c è pur sempre un deposito irregolare (art. 1782 c.c.) e la restituzione del danaro sconta il prezzo della fungibilità. Il rigore della regola introdotta senza troppi preavvisi ha reclamato una mitigazione, un percorso meno penalizzante almeno per coloro che hanno subito il torto di false rappresentazioni. L’attenzione prestata a quanti possono provare d’essere stati irretiti, forse più che una soluzione di giustizia è la sanatoria d’una disfunzione di un sistema evidentemente poco vigilato. Il legislatore ha già approntato le norme sui conti in sofferenza e sulla garanzia dello Stato (D.d.l. di conversione del decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18), con le relative ricadute, delle quali, però, non ci si cura.

Il soccorso dello Stato nelle crisi bancarie è fenomeno che si è verificato in un passato molto recente, prima che l’Unione intervenisse con la sua spada contro l’ipotesi di aiuti di Stato alle imprese. Dopo la legge 9 luglio 2015, n. 114 la riproposizione dell’ausilio dello Stato fa riemergere l’immagine di uno Stato provvidenziale che intervenendo rende più lievi le ferite.

Torna la domanda: lo Stato vuole proteggere le banche o i cittadini? La domanda non è retorica e la risposta è aperta. Certo di fronte ai poteri forti anche lo Stato si flette, ma il suo non è un inchino prono, è un inchino un po’ frenato dalle istanze della classe dei consumatori, dalla certezza di interventi della giurisprudenza che non ha reso meno inutile la introduzione di organi di giustizia dedicati, ma sprovvisti del potere coercitivo (Corte Cost., 21 luglio 2011, n. 218, in materia di competenze dell’Arbitro Bancario), che non piacciono neppure al sistema, che rifugge peraltro ogni luogo in cui si tenti la conciliazione, nella convinzione che conviene resistere, perché prima o poi si troverà il tavolo sul quale vincere.