Editoriale n. 2 – aprile / giugno 2015
Avvocati e notai in concorrenza ?
Professore Notaio Ubaldo La Porta
L’intolleranza dell’economia meno sana verso norme e controlli sembra di nuovo avere il sopravvento sul diritto. La classe politica è incline ad abbandonare l’economia alle proprie regole nonostante la storia abbia dato prova della loro assoluta inettitudine al “governo delle cose”.
In questa direzione va il disegno di legge sulla concorrenza, di prossima discussione (si spera) parlamentare, nella parte in cui apre lo studio dell’avvocato al socio di capitale e sovrappone confusamente le competenze dell’avvocato e del notaio, in un maldestro tentativo di sottrazione imperativa di redditi.
Manca la percezione della realtà sulla quale si interviene più che la “visione politica”. Manca, probabilmente, alla politica il supporto del giurista. E’ un problema generazionale, di formazione della classe dirigente e di generale approssimazione. La competenza estrema, conseguita in esito a selezione operata sulla base esclusiva del merito, non certo del censo o dell’appartenenza, viene così scambiata per privilegio di casta.
Il numero ristretto dei notai, come quello degli artigiani ad altissima specializzazione, va difeso. Esso, determinato dalla severità della selezione in entrata (sulla quale si gioca ad armi pari, in regime di libera concorrenza) garantisce una qualità media della prestazione professionale molto alta. Il dato si traduce immediatamente in benessere per il privato, la famiglia, l’impresa. Il bene della vita assicurato dal sistema di formazione dei titoli basato sul “notariato latino” assicura certezza dei dati e stabilità della circolazione dei beni, accelerando e rendendo sicure le transazioni commerciali, delle quali si garantisce la conformità alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume nonché la rispondenza costante a interessi meritevoli di protezione secondo l’ordinamento giuridico.
L’attività del notaio è profondamente e strutturalmente diversa da quella dell’avvocato, che cura interessi affiancando il cliente, non tutela il diritto assicurando la conformità al sistema della singola contrattazione. Il patto, concluso tra le parti, con la legittima assistenza degli avvocati, diventa titolo attraverso il filtro notarile. E il notaio è terzo, tale dovendo restare per assicurare la conformità dell’accordo (di parte) all’interesse pubblico, immettendo quell’accordo nella circolazione.
La funzione notarile è pubblica. Il notaio la esercitata su delega dello Stato che ben potrebbe avocarla a sé, accollandosene i costi, diversamente sopportati dal notaio che la funzione esercita in regime privatistico. La professione forense è libera, espressione dell’affermazione dei diritti individuali anche contro lo Stato. Come quella notarile dovrebbe essere condotta da un numero di professionisti ridotto, selezionato severamente e non in base all’assai labile meccanismo dell’esame abilitativo. Anche in tal caso la severità dell’accesso assicurerebbe qualità elevata media della prestazione e anche in tal caso soltanto l’elevata qualità della prestazione assicurerebbe beni della vita adeguati alle esigenza del privato, della famiglia, dell’impresa. Il problema delle libere professioni non è, oggi, quello del ristretto numero di notai bensì quello dell’amplissimo numero di avvocati; e il numero, in genere, è nemico della qualità.
La promozione dei principi di concorrenza nell’esercizio delle professioni liberali va recuperata nell’accesso, assicurando la parità di trattamento tra tutti gli aspiranti e favorendo la formazione dei meno abbienti, loro garantendo prospettive di esito esattamente corrispondenti a quelle di chi ha più mezzi. Essa non può essere imposta per mezzo dell’allargamento delle maglie della selezione o, peggio ancora, per mezzo dello stravolgimento di competenze non accompagnato da uniformità di percorsi formativi. Non si tratterebbe di rimuovere barriere, si tratterebbe di abbattere in modo miope un sistema che funziona, uno dei pochi.
La delicatezza dei ruoli, entrambi essenziali al buon funzionamento della società civile, colloca l’avvocato e il notaio fuori dall’impresa, consiglia fortemente di tener lontano il capitale finanziario dalla professione per garantirne l’indipendenza, impone di separare carriere e funzioni strutturalmente diverse per impedire dannose commistioni. Di tutto ciò la politica dovrebbe tener conto prima di legiferare sotto la suggestione evidente di chi ha interesse a smantellare ogni residuo presidio di libertà, legalità, diritto.